LE VARIANTI IN CORSO D’OPERA NEL NUOVO CODICE

 

Il nuovo Codice dei contratti disciplina le varianti in corso d’opera con l’articolo 106 nell’ambito delle “Modifiche dei contratti in corso di validità”, conformemente all’art. 72 della Direttiva n. 2014/24 UE e all’art. 89 della direttiva n. 2015/25 UE.

Il primo comma di detto articolo, dopo aver precisato che le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto devono essere autorizzate dal RUP, individua i casi in cui le modifiche al contratto possono ritenersi ammissibili. Precisa, inoltre, che la possibilità di introdurre tali modifiche deve essere prevista negli atti di gara, in clausole chiare, precise ed inequivocabili. Tutto ciò a prescindere dal loro valore economico.

Dunque, utilizzando una tecnica legislativa molto diversa da quella che caratterizza la normativa vigente, il legislatore della riforma ha concentrato in un unico articolo la disciplina di una serie di modifiche contrattuali che si riferiscono ad una molteplicità di ipotesi molto diverse tra loro. Ipotesi che hanno in comune solo l’effetto finale, cioè quello di comportare una modifica del rapporto contrattuale. In particolare l’articolo 106 disciplina:

  1. le modifiche di tipo strettamente economico (riconducibili sostanzialmente al meccanismo della revisione prezzi);
  2. quelle che attengono al contenuto sostanziale del contratto (assimilabili alle ipotesi più tradizionali delle varianti in corso d’opera);
  3. le modifiche soggettive, che si sostanziano cioè in una variazione del contraente;
  4. le modifiche di ordine strettamente temporale, relative cioè alla proroga e al rinnovo dei contratti.

In merito alle modifiche dei contenuti contrattuali, il comma 1 dell’art.106 alla lettera b) fa riferimento ai lavori, forniture e servizi «supplementari», riprendendo in maniera quasi testuale la corrispondente previsione della direttiva Ue e prevedendo la possibilità di affidare prestazioni complementari all’appaltatore.

Per poter procedere in tal senso deve risultare una concreta difficoltà tecnica ed economica per l’affidamento con nuova gara. Nel caso di accertata possibilità i lavori complementari non possono superare il 50% dell’importo contrattuale.

Il comma 1 alla lettera c), invece, si riferisce ai casi riconducibili alle varianti tradizionalmente intese, attualmente disciplinate dall’articolo 132 del D.Lgs 163.

Più specificatamente detto comma prevede che i contratti di appalto possano essere modificati senza una nuova procedura di affidamento qualora le varianti:

  1. siano dovute a circostanze impreviste e imprevedibili per l’ente appaltante, tra cui sono esplicitamente incluse la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità preposte alla tutela di interessi rilevanti. In questa dizione vengono quindi ricomprese due delle ipotesi attualmente indicate dall’articolo 132, e cioè le esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari (comma 1, lettera a) e le cause impreviste e imprevedibili (lettera b);
  2. non devono alterare la natura generale del contratto;
  3. non devono comportare un aumento del corrispettivo superiore al 50% del valore del contratto originario. Nel caso di più modifiche, questo limite si applica a ciascuna modifica; questa formulazione – anche in questo caso ripresa testualmente dalla direttiva comunitaria – deve essere intesa nel senso che l’insieme di tutte le modifiche che siano eventualmente introdotte in momenti successivi non deve comunque comportare nel complesso un incremento del corrispettivo superiore al 50% di quello originario.

Il nuovo Codice introduce poi la nozione di modifiche (o varianti) non sostanziali, che sono sempre ammesse a prescindere dai presupposti che le determinano. La disciplina di tali modifiche non sostanziali risulta dalla combinazione tra la lettera e) del comma 1, che le consente, e il successivo comma 4 che specifica quando una modifica deve essere considerata sostanziale, con ciò consentendo di definire, attraverso un procedimento al contrario, le modifiche che, non presentando le indicate caratteristiche, devono essere considerate non sostanziali e quindi ammesse.

Oltre a ciò viene confermata l’ipotesi delle varianti dovute ad errori progettuali (comma 2), già attualmente disciplinata dal D.Lgs. 163.

Il nuovo assetto normativo consente di apportare varianti al contratto in dipendenza di errori o omissioni del progetto esecutivo che pregiudichino in tutto o in parte la realizzazione o l’utilizzazione dell’opera. Vengono tuttavia introdotti dei limiti diversi da quelli attualmente previsti. È infatti stabilito che le varianti:

  1. devono essere di importo non superiore alle soglie comunitarie (2,5 milioni di euro);
  2. non possono comunque superare il 10% del valore del contratto originario nel caso di forniture e servizi e il 15% nel caso di lavori. In caso di più varianti successive, tali limiti si riferiscono all’importo complessivo di tutte le varianti introdotte.

Rispetto alla normativa attuale, che prevede la possibilità di introdurre varianti per errori progettuali entro il 20% dell’importo originario del contratto, vi è quindi un restringimento dei limiti sia dal punto di vista relativo (15%) sia da quello assoluto (comunque entro le soglie comunitarie).

Vengono infine riprodotte senza alcuna variazione le disposizioni relative alla responsabilità del progettista, che è chiamato a rispondere per i danni subiti dall’ente appaltante in conseguenza di errori progettuali (comma 9), e quelle che definiscono l’errore o omissione progettuale (comma 10).

Il comma 12 dell’art. 106 ripropone, poi, essenzialmente i contenuti del comma 12 dell’art. 161 del Reg. 207/2010 prevedendo espressamente che  la stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario una aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto.

In estrema sintesi queste le principali novità introdotte:

  • tetto al 50% per tutte le varianti;
  • modifiche motivate con errori progettuali solo entro le soglie Ue e con un tetto al 15%;

Da un confronto tra la disciplina delle varianti sopra illustrata e quella contenuta nell’articolo 132 del DLgs 163/06 si può constatare la mancanza esplicita di alcune ipotesi precedentemente contemplate e che spesso si verificano in un appalto.

In primo luogo non vengono enunciati esplicitamente i casi di eventi inerenti la natura e la specificità dei beni su cui si interviene o della sorpresa geologica. Si ritiene tuttavia che dette ipotesi siano riconducibili alle “circostanze impreviste e imprevedibili” previste nel decreto di riforma.

Non viene poi esplicitata l’ipotesi di varianti legate all’utilizzo di materiali, componenti e tecnologie nuove che possono comportare miglioramenti nella qualità dell’opera. Anche in questo caso si ritiene tuttavia che la fattispecie, non contemplando un aumento di prezzo, possa essere ricondotta all’ipotesi di variante non sostanziale.

Non è altresì esplicitata l’ipotesi relativa alle cosiddette “varianti non varianti”, precedentemente disciplinate dal comma 3 dell’articolo 132, che consentono di introdurre variazioni su aspetti di dettaglio entro limiti di spesa contenuti. Anche questa tipologia potrebbe però considerarsi riassorbita nell’ipotesi delle “varianti non sostanziali”, che tuttavia sono caratterizzate da vincoli che appaiono più stringenti rispetto a quelli ad oggi previsti per le “varianti non varianti”.

Infine, non è più contemplata l’ipotesi di bonifica e/o messa in sicurezza dei siti contaminati. Tale circostanza è stata comunque inserita tra i casi in cui è possibile affidare un nuovo contratto all’appaltatore originario attraverso la procedura negoziata senza pubblicità.

In ogni caso, va evidenziato che, se da un lato è vero che molti dei casi precedentemente previsti e non espressamente contemplati nel nuovo codice appalti possono essere ricondotti ad altri casi di variante da quest’ultimo disciplinate, ciò non è comunque privo di conseguenze sull’assetto complessivo del sistema. Emerge infatti la differenza sostanziale rappresentata dal fatto che la nuova disciplina introduce il limite dell’incremento massimo del 50% dell’importo del contratto originario, che è invece assente nella normativa previgente.