Il limite economico dettato dal principio del quinto d’obbligo

Come noto, il principio del cosiddetto quinto d’obbligo è stato introdotto nella normativa italiana dall’art. 343 della Legge Fondamentale 2248 Allegato F del 1865 che recita: “Occorrendo in corso di esecuzione un aumento od una diminuzione di opere, l’appaltatore è obbligato ad assoggettarvisi fino a concorrenza del quinto del prezzo di appalto alle stesse condizioni del contratto. Al di là di questo limite egli ha diritto alla risoluzione del contratto”.

La disposizione e i principi ivi dettati sono stati poi ripresi dall’art.14 del Capitolato Generale 1063 del 1962, dall’art. 10 del successivo Capitolato Generale 145 del 2000 e, da ultimo, dall’art. 161 del regolamento 207 del 2010 che così recita: “Ai fini della determinazione del quinto, l’importo dell’appalto è formato dalla somma risultante dal contratto originario, aumentato dell’importo degli atti di sottomissione e degli atti aggiuntivi per varianti già intervenute, nonché dell’ammontare degli importi, diversi da quelli a titolo risarcitorio, eventualmente riconosciuti all’esecutore ai sensi degli articoli 239 e 240 del codice. La disposizione non si applica nel caso di variante disposta ai sensi dell’articolo 132, comma 1, lettera e), del codice”.

Nell’attuale quadro legislativo la disciplina è stata trasferita senza novità alcuna nell’art. 10 dell’emanando Decreto Ministeriale di approvazione delle Linee Guida sulla Direzione Lavori.

Secondo l’enunciata regola, il cosiddetto quinto d’obbligo si calcola come prodotto dell’importo dell’appalto, costituto dall’importo del contratto originario più quelli degli atti successivamente stipulati più le somme eventualmente riconosciute non a titolo risarcitorio all’esecutore in sede di accordo transattivo, per il 20%.

Il limite economico dettato dal principio del quinto d’obbligo oltre il quale non possono essere imposti lavori agli stessi prezzi patti e condizioni del contratto originario è dato invece dalla somma dell’importo contrattuale originario più l’importo del quinto come sopra individuato.

In altri termini, se interviene una sola variante e medio tempore non sono stati riconosciuti importi diversi dai risarcimenti in sedi transattive, il quinto si calcola banalmente come prodotto dell’importo del contratto originario per il 20%. Il limite economico oltre il quale non possono essere invece imposti lavori agli stessi prezzi patti e condizioni è invece dato dalla somma dell’importo contrattuale originario e dell’importo del quinto che in questo caso è pari al 20% del contratto netto. Risulta quindi pari a 1,2 x importo del contratto.

Nel caso invece in cui intervengano due varianti suppletive e con la prima variante non sia stato raggiunto il limite del quinto come sopra individuato, per valutare il nuovo limite conseguente al primo incremento contrattuale intervenuto con la prima perizia, occorre:

  1. valutare l’importo del quinto come prodotto del 20% per la somma dell’importo contrattuale originario + l’importo della prima variante
  2. valutare il limite come somma dell’importo originario di contratto + l’importo del quinto individuato al punto che precede.

Nell’ipotesi in cui neppure con la seconda variante sia stato superato il limite e occorre procedere con una terza variante, il nuovo limite si valuta col metodo sopra riportato considerando ovviamente anche l’importo della prima variante.

Il limite definitivo sarà raggiunto tanto prima quanto di maggior valore risulteranno le varianti. Tanto più tardi quanto di minor valore sia ognuna di essa.

Nel calcolo non sono tenuti in conto gli aumenti, rispetto alle previsioni contrattuali, delle opere relative a fondazioni.

Nelle linee generali risulta quindi che per la quantificazione del quinto d’obbligo dopo il primo esercizio dello ius variandi, l’importo entro cui è possibile l’esercizio ulteriore dello stesso è costituito dalla differenza tra il 20 per cento dell’importo contrattuale aggiornato e l’importo della variante precedentemente approvata.

Se così non fosse la norma si porrebbe in contrasto con la ratio del limite stesso che è, come noto, quella di confinare l’obbligazione assunta dall’appaltatore. La mera applicazione del criterio del cumulo che qualcuno sostiene – inteso come somma del quinto non all’importo contrattuale originario bensì all’importo da ultimo integrato – altererebbe la misura dell’obbligo al punto da costringere l’appaltatore ad eseguire maggiori lavori ai medesimi patti, prezzi e condizioni del contratto originario con un limite ben più esteso di quello dovuto.